martedì 9 novembre 2010

I CROCIATI PADOVANI

N
on si tratta qui di padovani  che abbiano partecipato a qualcuna delle numerose crociate che fra l’XI ed il XII secolo convogliarono migliaia di uomini in Terrasanta  per liberare il sepolcro di Cristo dagli infedeli (ma anche per altri scopi meno nobili e più commerciali…), sibbene di un corpo militare così denominato costituitosi  nella nostra città nel 1848, del quale parla Pietro Galletto nel suo ”Alberto Cavalletto – Una vita per la Venezia e per l’Italia”.
In tale anno, infatti, gli austriaci, preoccupati per la rivoluzione scoppiata a Vienna il 13 marzo contro la monarchia assoluta degli Asburgo, si erI  “CROCIATI PADOVANI” DEL 1848ano ritirati dalle città del Lombardo Veneto, e quindi anche dalla nostra, per concentrarsi a Verona in attesa degli sviluppi della  situazione.   
Ed a Padova,  trovatasi  libera dagli odiati oppressori, viene subito  eletto un governo  denominato “Comitato provvisorio dipartimentale”  che aderisce alla rinata Repubblica di S.Marco,  indice una votazione per l’immediata fusione con il Regno di Sardegna che ottiene un consenso plebiscitario  e, fra le prime cose, si preoccupa di dotarsi di una propria forza armata.
Nascono così i “Crociati Padovani” desiderosi di combattere  - scrive Galletto  -  “in nome della libertà sotto l’auspicio della Fede” e per questo portano una croce rossa sul petto e nelle manifestazioni pubbliche sono preceduti dai padri cappuccini  che portano la bandiera tricolore sormontata dalla croce.
Li comanda il colonnello napoleonico  Marcantonio Sanfermo e fra essi numerosi sono gli studenti dell’università : fra gli ufficiali spicca l’ingegnere Alberto Cavalletto,  patriota che verrà poi denominato  il “Garibaldi padovano”, nominato aiutante maggiore  del Sanfermo.
I  1500 Crociati padovani, per fronteggiare il previsto attacco degli austriaci che, racchiusi  nel Quadrilatero a Verona, in attesa di rinforzi manifestavano nel frattempo l’intenzione di effettuare una sortita per riconquistare Vicenza, vi si  recano  per contribuire alla sua difesa.
Quivi si congiungono con i “Crociati” vicentini con i quali fraternizzano  ponendo fine a stolti remoti rancori  municipali del passato , e con quelli trevigiani accorsi anch’essi, dando vita alle “legioni mobili  venete”, un piccolo esercito di poco più di 3000 uomini affidato  al comando del Marcantonio Sanfermo nominato, a seguito di ciò, generale.
Purtroppo, un esercito piccolo e male in arnese – una specie di armata Brancaleone di  monicelliana memoria  - così  descritto dal patriota vicentino Francesco Molon:”Eravamo armati come ben ci piaceva. Alcuni portavano picche degne dell’evo medio…, altri arrugginiti archibugi  a pietra focaia, vecchi fondi dell’Arsenale Veneziano; i meglio arredati, fucili da caccia, un piccolo battaglione  era armato di fucili Schneider. Una diecina di giovani eretti su rozze sfiancate figuravano la cavalleria, quattro compassionevoli cannoni da bastimento, già fuori d’uso, tirati con assai lentezza e maestà da bovi, l’artiglieria…Chi possedeva un cavallo nominavasi, ipso jure, ufficiale o capitano; con eguali criteri furono creati i maggiori,  gli aiutanti e il resto. Copia in tutti di entusiasmo  sincero, non di militare dottrina”.
Pur in queste condizioni di netta inferiorità  i  “Crociati”, affiancati validamente dalle truppe pontificie inviate in loro aiuto da Papa Pio IX,  si batterono valorosamente  ottenendo anche qualche successo, ma furono alla fine sconfitti  il  10 giugno 1848 a Monte Berico da  20.000 soldati austriaci ben armati ed ottimamente organizzati che poterono così entrare vittoriosi in città.
I Crociati padovani  rientrati in città  dopo la caduta di Vicenza si apprestano a difendere Padova contro il nemico avanzante,  ma un ordine del Governo della Repubblica Veneta che riteneva  impossibile tale difesa ordina  loro di  rinunciarvi e di ripiegare su Venezia per ivi concentrare tutte le forze disponibili per difendere la libertà della  Repubblica di S.Marco.
Pur dissentendo,   Cavalletto - che avrebbe voluto affrontare il nemico -  ed i suoi uomini  disciplinatamente obbediscono e così  il 14 giugno 1848  gli austriaci,  avidi di vendetta, rientrano senza combattere nella Padova che avevano abbandonata solo quattro mesi prima.
Intanto arde a Venezia la disperata resistenza contro gli austriaci giunti ormai ai bordi della laguna, ed i Crociati padovani, agli ordini del maggiore Alberto Cavalletto   vi  partecipano valorosamente finchè il lungo assedio costringe la Repubblica di S.Marco, il 23 agosto 1849,  alla resa ancora una volta tenacemente avversata dal patriota padovano propugnatore di  una difesa ad oltranza.      
 Gli austriaci  concedono l’amnistia ai soldati che hanno partecipato all’eroica difesa cosicchè il Cavalletto ed i  suoi Crociati alla fine d’agosto del 1849 possono  rientrare a Padova  ove  proseguono nella  clandestinità la lotta contro gli austriaci.       
 Resta da dire degli alleati dei Crociati negli avvenimenti che interessarono il Veneto dal marzo 1848 all’agosto 1849: le truppe pontifice.
 Il Cardinale Giovanni Maria Mastai Ferretti  eletto Papa con il nome di Pio IX nel 1846 aveva subito assunto un atteggiamento politico riformista contrastante con l’assolutismo degli altri governi europei alimentando in tal modo  le speranze dei patrioti  anelanti all’unità d’Italia cosicchè perfino Garibaldi dall’America in cui si trovava non aveva esitato a promettergli che, appena rientrato in Italia,  si sarebbe messo a sua disposizione.
Così, allo scoppio della prima guerra d’indipendenza (23 marzo 1848) il Papa non aveva esitato ad inviare un’armata di 20.000 uomini (gli “Svizzeri”) comandati dal Generale Giovanni Durando in appoggio all’esercito piemontese di Carlo Alberto ed alle città venete insorte contro gli austriaci nella (vana)  attesa dell’arrivo dei liberatori piemontesi: ed a Vicenza i papalini partecipano con i  Crociati alla strenua difesa della città.
Dopo l’ infausta fine della 1° Guerra d’indipendenza gli “Svizzeri” ottengono dagli austriaci l’autorizzazione a rientrare nello Stato Pontificio ove nel frattempo Pio IX che tante speranze aveva alimentato nei patrioti italiani, aveva mutato pensiero (forse anche per il timore di uno scisma in Austria?) e revocato i provvedimenti liberali già concessi, riallineandosi con i regimi assolutisti europei. Ma 6000 di essi, invece di riprendere la strada di Roma, prendono quella di Venezia  e partecipano valorosamente alla sua disperata, infelice resistenza.
Cessa così, a causa del comportamento di Pio IX,   Vicario di Cristo in terra cui la cattolicità deve fra l’altro la  proclamazione del dogma  dell’Immmacolata Concezione di Maria, ma Capo di Stato ondivago,  miope e conservatore  che non ebbe la lungimiranza di cogliere i segni del tempo, l’alleanza fra lo Stato Pontificio ed il Piemonte di Carlo Alberto  che avrebbe potuto accelerare ed accompagnare quel movimento irresistibile che portò all’Unità d’Italia, evitando in tal modo  lo storico dissidio fra Stato e Chiesa che turbò per tanti anni l’animo degli italiani.

                                                                                                         Giovanni  Zannini  

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