martedì 18 ottobre 2011

ULTRAVIRES100

Situata sopra un colle isolato ed alberato per far godere agli ospiti aria buona, e lontana dal rumore dei centri abitati, con un accesso stradale tutto curve assai malagevole, e sterrato, ad una ventina di chilometri dalla grande città, la Casa di riposo “Quietas” era considerata l’oasi ideale, serena e protetta per i vecchi che vi erano accolti.
La vecchia villa di campagna ancora ben conservata e circondata da un parco accoglieva una cinquantina di ospiti che vivevano in un ambiente semplice ma ordinato e funzionale che consentiva ai vecchi una vita sufficientemente serena.
Tre cameroni (i reparti A,B e C) arredati con letti in ferro vecchi ma sempre tenuti in ordine, ed i relativi servizi, costituivano il reparto notte; un soggiorno ampio e luminoso era il luogo ove i ricoverati che non erano costretti a tenere il letto passavano la maggior parte del loro tempo i più sonnecchiando, gli altri, ancora in grado di farlo, leggiucchiando, giocando a carte o guardando la tv anche se trasmetteva programmi per i ragazzi.
Infine, la sala da pranzo, meta agognata del pasto di mezzogiorno e della sera.
Un Primario era responsabile della salute degli ospiti ma, tutto preso dal suo studio privato, dedicava all’istituto rare visite e veloci telefonate per cui l’assistenza medica era affidata a giovani medici che avrebbero dovuto sostituirlo ma che in realtà si limitavano a far passare il tempo per ottenere la specializzazione in geriatria, e che, terminato il periodo di apprendistato, si affrettavano a tagliare la corda verso lidi ed incarichi più appetibili.
Per cui, nella realtà, la “Quietas” era affidata ad una giovane donna assai intelligente e volonterosa, Benedetta - che tutti chiamavano “suora” perché vestiva come una monaca - dotata di grande senso di responsabilità e di eccezionali capacità organizzative.
Figlia (un tempo si diceva così) di “NN”, dopo essere stata allevata in un istituto di suore era entrata giovanissima alla ”Quietas” come servente ma con il passare del tempo, per la sua affidabilità, ne era divenuta la direttrice responsabile
Aveva una parola affettuosa per tutti, non faceva sentire agli ospiti la lontananza di parenti ed amici spesso dimentichi, assisteva i malati e gli infermi, pregava con loro Gesù e la Sua celeste madre affinchè vigilassero dal cielo sulle loro vite: insomma, si prodigava senza risparmio per rendere quanto più gradevole il soggiorno alla “Quietas”.

Un assistente intraprendente.

Il ricambio dei giovani medici specializzandi era molto frequente e venne la volta del dott.Giovanni Diurno, fresco di laurea, ad arrampicarsi sul colle ove sorgeva la casa di riposo: un giovane dotato di ingegno vivace e di volontà ferrea, studioso e desideroso di affermarsi ad ogni costo per dimenticare un passato di povertà e di sacrificio vissuto in una famiglia povera e disastrata dalla separazione dei genitori il cui affetto gli era dolorosamente mancato.
Aveva dunque colta al volo l’offerta di effettuare il praticantato alla “Quietas” subito individuata come sede ideale per i suoi studi sulla geriatria miranti ad un traguardo che l’aveva sempre appassionato, il benessere ed il prolungamento della vita dei vecchi che, se realizzato, gli avrebbe procurato fama e ricchezza.
Soprattutto, pensava piuttosto cinicamente, avendo a sua completa disposizione un prezioso materiale umano sul quale effettuare, praticamente senza rischio alcuno, eventuali sperimentazioni. Infatti, pensava, in caso di “incidenti” nessuno si sarebbe sognato di guardarci dentro (dato il completo disinteresse di chi avrebbe dovuto provvedervi), con la possibilità, dunque, di attribuirli al fatale decorrere del tempo che ad un certo punto pone inesorabilmente fine alla vita umana.
Aggiornatissimo sulle più recenti acquisizioni scientifiche, attento lettore delle più autorevoli riviste in materia geriatrica, alieno da ogni distrazione che pur alla sua età sarebbe stata comprensibile, il giovane assistente conduceva una vita al limite dell’ascetismo dedicandosi allo studio ed all’approfondimento dello stato di salute di ciascuno dei ricoverati.
Benedetta, ammirata dal suo comportamento ben diverso da quello degli altri assistenti che l’avevano preceduto, dopo un prudente periodo di osservazione finì per accordargli la sua fiducia.
E dunque, allorché egli Le disse che, per favorire gli studi miranti alla salute dei suoi vecchietti, occorreva rimodernare il laboratorio fino ad allora poco o nulla utilizzato, la buona donna si diede da fare e alla fine le riuscì di mettere a disposizione del giovane medico le necessarie attrezzature grazie all’ interessamento del Primario il quale pensò che, in caso di successo, l’attività del suo volonteroso assistente avrebbe giovato, pur senza alcun merito, anche alla sua carriera.
Chiuso in quel laboratorio tutto il giorno ed anche, talora, di notte, studiando e sperimentando sulle cavie, le ricerche del dott.Diurno approdarono finalmente ad un medicinale destinato, secondo i suoi studi, non solo ad arrecar benessere alla salute dei vecchi ma, addirittura, ad allungarne la vita.
Lo battezzò “Ultravires 100” (“Oltre i 100 anni”) e con grande trepidazione, si accinse alla sperimentazione d’accordo con suor Benedetta da lui convinta sulla necessità di agire nella massima segretezza per evitare fughe di notizie a favore di case farmaceutiche che avrebbero potuto impadronirsi della scoperta per ottenerne propri enormi benefici economici, mentre, a suo avviso, in caso di successo, il nuovo prodotto avrebbero dovuto essere brevettato da un ente benefico per scopi umanitari.
Fu dunque distribuito inizialmente solo agli ospiti della camerata B un flaconcino contenente un liquido arancione – da assumere per un mese al mattino - che i vecchi, ai quali era stato detto che era aranciata, trincavano golosamente grazie al suo gradevole sapore.
Al Primario che, in occasione di una delle sue rare visite, aveva chiesto informazioni in proposito, fu risposto che si trattava di un ricostituente, e ciò fu più che sufficiente ad appagare la sua curiosità ed a tranquillizzarlo pienamente.
In assenza di effetti negativi sul primo campione, il dott. Diurno si rinfrancò ed estese la cura a tutti i ricoverati. L’effetto fu sconvolgente.
Menti intorpidite ripresero vivacità, muscoli ormai rattrappiti rinvigorirono, chi in passato soffriva di inappetenza riscoprì il piacere della mensa, vistose zoppie scomparvero, uditi fuori uso si rimisero in funzione, occhi pressoché spenti rividero la luce, e, perfino, infermiere e portantine, e la stessa suor Benedetta (con suo comprensibile disagio), furono oggetto di attenzioni fino ad allora impensabili.
I parenti degli ospiti, increduli; il Primario stupito, gongolante, ad attribuirsi meriti che non gli spettavano; i pubblici amministratori, avidi di voti elettorali, a vantarsi degli straordinari risultati ottenuti alla “Quietas”.
Ma la cura prodigiosa, oltre a migliorare sensibilmente il benessere degli anziani, ottenne anche l’effetto straordinario, sperato dal dott.Diurno, di allungare la loro vita.
Tutti i ricoverati dopo la cura, superarono abbondantemente il secolo, e la morte sopravvenne sempre serenamente, senza sofferenze e priva di quella drammaticità fisica e psichica ad essa assai spesso connessa.
Purtroppo, dal punto di vista economico, l’”Ultravires 100” fu per il suo scopritore un vero fiasco.
L’autorità sanitaria competente per la brevettazione, dopo attenti studi e verifiche constatò infatti che una componente del farmaco era altamente cancerogena, e ne vietò la produzione e la messa in commercio.
Vane furono le proteste del Diurno e di molti altri studiosi i quali mettevano in rilievo che, anche ammessa la pericolosità del farmaco – che pur veniva contestata - esso, agendo su di un organismo oramai vecchio non avrebbe avuto il tempo di sviluppare i suoi effetti malefici prima della sua morte.
I supremi responsabili della sanità nazionale, di fronte alla considerazione che non era comunque pensabile il mettere in commercio un medicinale che avrebbe potuto provocare il cancro, furono irremovibili e confermarono senza appello il divieto di produrre e vendere il contestato medicamento.
Il provvedimento continuò a suscitare polemiche ed accese discussioni negli ambienti medici scientifici di tutto il mondo fra propugnatori del farmaco, convinti della sua straordinaria efficacia, e gli oppositori: ma alla fine, cessati i clamori, dell’”Ultravires 100” non si parlò più.

Un effetto inatteso

Intanto, la fascia dei vecchi della “Quietas” che l’avevano assunto, pur dopo aver fruito dei benefici effetti del farmaco – che aveva condotto alcuni addirittura sulla soglia dei 110 anni - si era esaurita ed i nuovi ricoverati tornarono ai consueti acciacchi ed alle tribolate dipartite.
Ma all’occhio attento di suor Benedetta, che aveva intensamente vissuto l’avventura dell’”Ultravires 100” il cui esito l’aveva dolorosamente colpita, non sfuggì un fatto singolare cui neppure il dott.Diurno - partito nel frattempo per salire, grazie alla notorietà mondiale derivatagli dalla sua pur controversa scoperta, sulla cattedra di geriatria di un’importante università americana - aveva fatto caso.
Il ricoverato Carletto Ripamonti, letto n.26 del padiglione C, 91 anni alla data della somministrazione della nuova medicina, era deceduto l’anno dopo all’età di “soli” (in confronto alle “performances” dei suoi colleghi) 92 anni. Come mai?
Contemporaneamente, si era accorta dello strano effetto che l’”Ultravires 100” stava ottenendo su Antonio Bricolo - detto Toni Menolo - di anni 80 al momento della sperimentazione, il quale non solo stava benissimo di salute, ma pareva essersi fermato a quell’età e, col passare del tempo, anziché invecchiare, ringiovaniva.
Sapete come si dice quando si vuol fare un complimento a qualcuno molto avanti con gli anni:”Ti trovo benone! Sei ringiovanito!”
Nella maggior parte dei casi non è vero, lo si fa per tener su di morale il vegliardo, insomma, è una bugia, però di quelle che i teologi definiscono “aporie morali”, ossia bugie con le quali non si fa peccato perché dette a fin di bene.
Ma nel caso di Toni Menolo non era una bugia, era proprio vero.
Suor Benedetta, cominciò ad entrare in agitazione perché si rese conto che si stava verificando qualcosa di straordinario.
Passati cinque anni, allorché anagraficamente toccò gli 85, Toni denotava l’età di un arzillo settantenne e dopo altri 5, quando avrebbe dovuto, conti alla mano, averne 90, aveva l’aspetto di uno che di anni ne ha solo una cinquantina.
La suora, a quel punto, pregò Iddio che l’ aiutasse a chiarire il mistero, ed il Signore accolse le sue preghiere perché, in un lampo, le venne in mente che Toni Menolo aveva sempre occupato il letto n.25 della camerata C, accanto a quello n. 26 del povero Carletto Ripamonti, quello morto all’età di “soli” anni 93, l’unico al quale la cura del dott. Diurno non aveva fatto effetto.
A seguito di questa constatazione s’impadronì di lei il pensiero atroce che la chiave del mistero potesse stare proprio lì.
Mandò a chiamare allora il Menolo e, pur dubitando di ottenerne una qualche risposta dato il gran tempo trascorso, gli chiese se si ricordava di quando era stata distribuita, tanti anni prima, per un mese di seguito, quella buona aranciata.
Ma la sua memoria funzionava, invece, ottimamente perché “ E come se me lo ricordo! – rispose Toni ridendo - Era talmente buona che l’ho fregata a quel fesso del Carletto che, pace all’anima sua, è sempre restato a bocca asciutta, e non me l’ha mai perdonata……”.
Poco mancò che alla suora venisse male quando dalla risposta del Menolo ebbe la conferma dei suoi neri presentimenti: che l’”Ultravires 100”, assunta nella dose prevista dal dott.Diurno fosse in grado di produrre effetti benefici consentendo al vecchio non solo ottime condizioni di salute, ma, anche, l’allungamento della vita, mentre l’ “overdose” potesse addirittura provocarne fatalmente la regressione e, quindi, alla morte per dissoluzione.
Era, pensò, come se nell’organismo di quell’uomo si fosse innestata un’ assurda retromarcia che da vecchio l’aveva trasformato in anziano e poi in giovane uomo quale attualmente era: ora, assurdamente, dinanzi a lui stavano l’adolescenza, poi l’infanzia, e poi, mio Dio, e poi……..
Giunta ai limiti dell’impazzimento, subentrò nella povera donna un irrefrenabile senso di colpa - per non essersi opposta alla sperimentazione del dott. Diurno – che venne a turbare la serenità della sua vita ed a sconvolgere la sua esistenza.
Un pensiero fisso ossessionava la sua mente: occorre fermare quell’abnorme, orrendo processo messo in moto dall’”Ultravires 100”, ma come? Chi avrebbe potuto?
Pensò che il dottor Diurno – il quale, sia pure involontariamente, l’aveva messo in moto – sarebbe forse stato in grado di trovare un antidoto onde bloccare quell’allucinante processo e riportare il Toni sui binari di una vita normale rivolta verso il futuro, e non, assurdamente, verso il passato.
Dopo lunghe ricerche riuscì finalmente a trovare l’indirizzo ed il numero telefonico del Diurno negli Stati Uniti e, facendosi coraggio, lo chiamò.
Il medico, inizialmente lieto di risentire la voce della donna, appena messo al corrente della drammatica situazione, mutò registro. Anzitutto mise in dubbio quanto gli era stato riferito attribuendolo ad un’allucinazione; e, se veramente le cose stessero così, non avrebbe saputo che farci perché, dopo tutte le complicazioni che la sua scoperta gli aveva provocato, non intendeva assolutamente andare incontro ad altre.
Ed il colloquio terminò lì.
Allora suor Benedetta sconvolta, atterrita, si rivolse, in cerca di aiuto, al suo confessore, don Luciano, un anziano sacerdote che saliva ogni tanto alla “Quietas” per dare un saluto ai vecchi ricoverati, ascoltare i loro improbabili peccati e, più spesso, per impartir loro l’estrema unzione.
“Figlia mia – le disse dopo aver ascoltato il drammatico racconto – se quanto mi dici è vero, e mi pare impossibile, non resta che pregare il Signore affinché intervenga con la Sua potenza ad eliminare il disordine provocato dal quella infausta scoperta. Prega, prega, figlia mia, intensamente, e la Provvidenza provvederà a rimettere le cose a posto”. La benedisse e, terminate le sue incombenze, riprese la via del ritorno.
Allora, in attesa che l’intervento della Provvidenza si manifestasse, non restò a suor Benedetta che pensare a come organizzarsi nel frattempo.
Fortunatamente, grazie al totale disinteresse di tutti (dal Primario all’assistente di turno, ai pochi infermieri ed allo scarso personale di servizio) nessuno si era accorto di quanto stava accadendo.
Terrorizzata dallo scandalo che si sarebbe verificato qualora il caso fosse divenuto pubblico, preoccupata di un suo possibile coinvolgimento nella vicenda, suor Benedetta prese la decisione.
Arredò alla meglio uno stanzino che si trovava al terzo piano dell’istituto disabitato, adibito ad archivio che in realtà era un mucchio disordinato di carte impolverate e dove nessuno andava mai, e vi relegò il Toni raccomandandogli di stare tranquillo e assicurandolo che si sarebbe presa cura di lui.
Intanto il “ringiovanimento” dell’uomo procedeva inesorabile e la situazione, assurda e tragica, era divenuta per la suora un incubo, ai limiti dell’impazzimento, che neppure la preghiera riusciva a placare.
Al contrario, la vita dell’uomo – che non percepiva, evidentemente, la drammaticità della situazione - trascorreva
tranquilla e serena.
Lo scorrere della sua esistenza in senso contrario - dalla vecchiaia verso la giovinezza – era da lui percepito come naturale e non suscitava in lui alcun turbamento: così come i comuni mortali nascono e divengono via via infanti, bambini, ragazzi, e poi giovani uomini, adulti, quindi anziani e vecchi, così per quell’uomo era naturale l’abolizione del bastone, la ricrescita dei capelli e della peluria, il recupero della vista e dell’udito, la tonicità ed il colorito della pelle, il mutare dell’ alimentazione e dei gusti, la ripresa della funzionalità sessuale, la tonicità della muscolatura…
Fortunatamente, dal punto di vista intellettuale l’ adeguamento alle età che andava gradualmente raggiungendo nel suo allucinante cammino a ritroso non gli provocava trauma alcuno: il suo comportamento non denunciava infatti alcuna problematica esistenziale
Solo, una totale dipendenza da Benedetta che ne divenne madre, confidente, consigliera, consolatrice e protettrice, tutto ciò che in quella drammatica situazione l’amore per il prossimo, lo scopo della sua vita, drammaticamente, e misteriosamente, le imponeva.

Un assistente troppo curioso

L’arrivo del nuovo assistente, il dott. Franco Galluzzo, fu fatale.
Al contrario di quelli che l’avevano preceduto, prese molto sul serio il suo incarico e volle, appena arrivato, conoscere a fondo tutto quanto riguardava il funzionamento della “Quietas” ed i suoi ospiti.
Con sua sorpresa, dall’esame dei registri dell’istituto rilevò che tal Antonio Bricolo, detto Toni Manolo, che avrebbe dovuto avere ben 115 anni, risultava tuttora “in forza” alla “Quietas”.



Di sicuro, pensò, chi di dovere si era dimenticato di depennarlo dopo la sua morte, ma siccome, dopo aver fatto le più approfondite indagini, da nessuna parte emerse che il Toni fosse deceduto, fiutando qualche irregolarità decise di andare a fondo.
Sempre più sospettoso, il dott.Galluzzo sottopose tutti i ricoverati ed il personale addetto a stringenti interrogatori.
Inizialmente non ne cavò nulla, neppur dalla Benedetta che, col cuore in gola, temendo chi sa quale scandalo, se l’era cavata dicendo che quanto accadeva all’ufficio amministrazione non era di sua competenza perché ben altre, diverse ed importanti erano le sue incombenze.
Il Galluzzo già meditava di lasciar perdere e di non pensare più a quel misterioso Toni Manolo, quando da un cuciniere da poco assunto venne a sapere di uno strano tipo (da lui ritenuto un poveraccio cui era consentito per pietà di raccogliere i resti dei pasti) che, quando tutti avevano lasciato la mensa, arrivava quatto quatto, arraffava un po’ di cibo e quindi si allontanava così come era venuto.
Mentre l’Annetta Bonacasa, una delle donne delle pulizie, raccontò che una volta l’anno andava a dare una spazzata al terzo piano e che in tale occasione aveva più volte intravisto aggirarsi fra gli armadi polverosi dell’archivio un uomo che alla sua vista si era rapidamente eclissato.
Allora il Galluzzo, subodorando qualche irregolarità, deciso a battere ogni pista pur di chiarire quel caso che lo insospettiva, e che, anche, cominciava ad interessarlo, diede l’ordine di cercare ovunque quell’uomo misterioso e di portarglielo immediatamente.
Lo trovarono e gli portarono un giovanotto sulla trentina alto e biondo che, richiesto dal Galluzzo delle sue generalità, rispose, senza esitare:” Sono Antonio Bricolo ma qui tutti mi chiamano Toni Manolo”.
Il medico pensò che quello lo volesse prendere in giro e s’arrabbiò:” Senta, giovanotto – gli disse, guardandolo malamente - se ha voglia di scherzare questo non è il momento: mi dica chi è e perché si trova qui”.
A suor Benedetta stava venendo male.
E l’altro a insistere:” Mi chiamo Antonio Bricolo detto Toni Manolo”.
Pur sicuro di trovarsi in presenza di un pazzo, il medico dopo averlo lungamente interrogato, restò interdetto: tutto quadrava con le notizie che Antonio Bricolo aveva rilasciato in segreteria all’atto del suo ingresso alla “Quietas”.
Oltre al suo cognome, nome e soprannome, corrispondevano perfettamente il cognome, nome ed età del padre, della madre e della defunta moglie, oltre all’attività lavorativa svolta come impiegato presso un’impresa di costruzioni e, sul ventre, la cicatrice di un’operazione d’appendicite rilevata a seguito di una visita attenta e scrupolosa al momento del ricovero.
Una cosa sola non ricordava: l’età.
A quel punto, resosi conto di trovarsi di fronte ad un caso misterioso, il dott. Galluzzo decise di informarne il Primario che, a sua volta, dopo aver ascoltato il resoconto delle indagini del suo assistente – e dopo avergli dato una lavata di capo: “Ma chi gliel’ha fatto fare di mettere in piedi sto casino?” - si affrettò, preoccupatissimo, ad informarne i superiori.
I quali, accorsi, e resisi conto del fenomeno, crearono subito una Commissione d’inchiesta composta da luminari e cattedratici illustri, ma privi, nella loro foga scientifica, di tatto ed umanità dimenticando che il caso riguardava un uomo, non una cosa.
Il povero Manolo fu sottoposto ad ogni genere di indagini, girato di sopra e di sotto, pesato, misurato, analizzato, radiografato, immerso nell’acqua calda e poi in quella fredda, fatto roteare su di un sedile simile a quello usato per la preparazione degli astronauti, esaminato con tutti i più moderni mezzi d’indagione medico-specialistica.
Ma non ne cavarono nulla salvo la conferma che la persona che si trovavano dinanzi era la stessa che, entrata alla “Quietas” all’età di 65 anni, ne doveva avere, a conti fatti, più di cento ma, a occhio, ne dimostrava meno della metà.
Circa le cause del fenomeno, buio completo e la commissione pose fine alle sue numerose sedute con un nulla di fatto. Ecco il comunicato conclusivo emesso dai commissari:”In attesa che il caso venga nuovamente sottoposto ad una super commissione, allo scopo di preservare la sua sanità mentale il soggetto de quo sia trattenuto nell’ambiente nel quale ha sin qui vissuto ed affidato alle cure personali della direttrice della Casa di Riposo “Quietas”, signora Benedetta Diotallevi, che sarà responsabile della sua vigilanza”.

Una drammatica rivelazione

Ma i discorsi fatti in sua presenza, senza alcuna discrezione da commissari evidentemente privi di tatto e di umanità di fronte ad una situazione assolutamente anomala e delicatissima, ed i titoli cubitali e le cronache dei giornali che impazzavano sul caso, rivelarono al povero Toni Manolo la tragedia che andava vivendo, e la sua esistenza ne fu sconvolta.
Cominciò a deperire, rifiutava il cibo, ammutolì, divenne insonne e cadde in una grave depressione.
A nulla valsero le cure di Benedetta, le sue parole di conforto, l’accusa ai commissari di essere degli incompetenti, di non capire nulla e di dire solo delle sciocchezze.
“E se invece tutto quello che hanno detto fosse vero? Fin che ci sei tu, Benedetta, non ho paura, ma dopo? Chi si prenderà cura di me quando sarò tornato ragazzo, bambino, infante e poi “ concludeva con un pianto irrefrenabile, rifugiandosi nelle braccia consolatrici della donna “sparire nel nulla?”.
A sua volta la povera donna si trovava in una situazione altrettanto angosciosa, senza poter fare alcunché per fermare l’assurdo destino che incombeva su quel pover’uomo.
Unico conforto, per entrambi, la preghiera che recitavano spesso in comune chiedendo al Signore che mettesse fine alle loro pene.
Ma, purtroppo, la situazione divenne sempre più tragica.
Assurdamente, la prospettiva della giovinezza, che per ogni uomo è fonte di gioia, costituiva per Toni solo una tappa amara nel cammino fatale verso il suo completo dissolvimento.

La Provvidenza

Benedetta quel giorno d’estate decise di andare a salutare il Toni che non vedeva da un paio di giorni.
Giunta dinanzi alla porta della sua cameretta bussò ma, non avendo ricevuta risposta alcuna, aprì piano la porta e vide Toni che in piedi davanti alla finestra aperta, nel trionfo di un tramonto estivo, con il sole che, enorme, calava sempre più all’orizzonte, guardava, fissamente, verso il basso.
L’uomo non si era accorto della presenza di Benedetta, e solo quando la donna, avvicinatasi, lo salutò, si girò di scatto guardandola con occhi allucinati: quindi, con mossa altrettanto fulminea, si girò di nuovo appoggiando le mani sulla soglia della finestra con il chiaro intento di scavalcarla.
Con una prontezza di cui ella stessa si sorprese, con un “Nooo!” urlato disperatamente, Benedetta si lanciò a sua volta sull’uomo riuscendo ad abbrancarlo stretto alle caviglie.
S’ingaggiò allora una lotta disperata fra l’uomo, ormai fuor di senno, e la donna che, avvinghiata a lui, lo chiamava ripetutamente per nome nel vano tentativo di farlo recedere dal suo folle proposito.
Ma la furia dell’uomo che scalciando violentemente cercava di liberarsi dalla stretta di Benedetta che non mollava la presa, il peso del suo corpo ormai quasi completamente penzolante nel vuoto, l’agitarsi scomposto delle sue braccia , quasi un assurdo nuotare nell’aria verso il basso per favorire la caduta, ebbero la meglio ed entrambi precipitarono.
Benedetta si stupì di quante cose le venivano in mente nel breve attimo in cui, prima di schiantarsi a terra, rimase librata nell’aria.
“E’ vero, o se è vero, che c’è la Provvidenza!”, pensava, inconsapevolmente echeggiando le parole del Manzoni nei “Promessi sposi”, il Signore ha ascoltato le nostre preghiere ed ora sta mettendo le cose a posto. Ha avuto pietà di questo pover’uomo ponendo fine alla sua assurda esistenza, e di sicuro perdonerà questo gesto causato dalla sua mente sconvolta. Ed io metterò fine ai miei timori, alle mie paure, al mio tormento per aver allora imprudentemente consentito ad una sperimentazione che avrebbe potuto provocare chi sa quali conseguenze modificando il corso della vita e l’ordine da Te stabilito. Ma tu sai, Signore, che le mie intenzioni erano buone, e sono sicura che mi perdonerai.”
La tragica conclusione della vita di Toni Manolo ebbe una vasta eco occupando pagine e pagine dei giornali, servizi in radio e televisione, convegni e dibattiti.
Ma il mistero dell’uomo che “viveva all’indietro” - come scrisse, coloritamente, un noto giornalista – è rimasto insoluto e nonostante attente e ripetute autopsie il caso è rimasto insoluto e turba tuttora scienziati, filosofi, religiosi.
Non mancò neppure chi lavorò di fantasia, e, commentando il fatto di quella donna e di quell’uomo precipitati abbracciati dalla finestra di una Casa di Riposo, affacciò il dubbio della tresca.
Da allora, però, alla “Quietas” (e, per quanto si sappia, nel mondo) non si verificarono più casi di uomini che campavano all’indietro cosicchè i suoi ospiti continuarono a vivere rivolti verso il futuro ed a morire regolarmente secondo gli usi ed i costumi vigenti.
Giovanni Zannini

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