lunedì 14 novembre 2011

Sommergibili italiani in Atlantico nella 2a guerra mondiale - LUPI TEDESCHI E GARIBALDINI ITALIANI

Il 10 giugno 1939 si tenne a Friedrichshafen sul lago di Costanza in Germania una riunione fra gli stati maggiori delle marine italiana e tedesca ed in tale occasione il Grand’Amm.Erik Raeder comandante in capo della flotta tedesca chiese se la Marina Italiana sarebbe stata disponibile a partecipare alla prevista guerra sottomarina in Atlantico.
L’Amm.Domenico Cavagnari, Capo di Stato Maggiore della nostra marina, dichiarò che l’Italia allo scoppio della guerra avrebbe inviato propri sommergibili in Atlantico per combattere fianco a fianco con quelli tedeschi.
Scoppiata la guerra, i tedeschi pretesero il rispetto di quell’impegno che gli italiani onorarono inviando tra la fine del 1940 ed i primi mesi del 1941 32 sommergibili che, superato il doppio ostacolo delle terribili correnti che rendevano improba la navigazione nello stretto di Gibilterra (superata brillantemente senza alcun incidente) e dell’occhiuta, ma inefficace sorveglianza della marina inglese, raggiunsero la base denominata “Betasom” sede del Comando delle forze italiane subacquee in Atlantico sorta in Francia a Bordeaux.
Eccone l’elenco, e tra parentesi l’anno di costruzione.
“Archimede” (1939); “Argo” (1936); ”Bagnolini” (1939); “Baracca” (1940); “Barbarigo” (1938); “Bianchi” (1939); ”Brin” (1938); “Cagni” (1940”; “Calvi” (1935); “Cappellini” (1939); “Dandolo” (1937); “Da Vinci” (1939); ”Emo” (1938);”Faà di Bruno” ( 1939); ”Ferraris”(1934); “Finzi” (1935); ”Giuliani” (1939); “Glauco”(1935); ”Guglielmotti” (1938); “Malaspina” (1940”; “Marcello” (1937); “Marconi” (1939); “Mocenigo” (1937); “Morosini” (1938); “Nani” (1938); “Otaria”(1935); “Perla” (1936); “ Tarantini” (1940); “ “Tazzoli” (1936); “Torelli” (1940); “Velella “ (1936); “Veniero” (1938).
Di questi, i seguenti 16 furono affondati o dispersi: “Calvi”, “Tarantini”, “Glauco”, “Marcello”, “Nani”, “Barbarigo”, “Faà di Bruno”, “Morosini”, “Tazzoli”, “Malaspina”, “Baracca”, “Bianchi”, “Marconi”, “Da Vinci”, “Archimede”, “Ferraris”.
Altri 10 rientrarono in Mediterraneo verso la fine del 1941 per scortare i convogli dall’Italia all’Africa settentrionale e viceversa: “Argo”, “Velella”, “Otaria”, “Dandolo”, “Veniero”, “Mocenigo””Emo”, “Brin”,”Guglielmotti”, “Perla”.
Gli altri, il “Cagni”, il “Torelli”, il “Giuliani”, il “Cappellini”, il “Finzi” ed il “Bagnolini”, rimasti a Betasom e trasformati in sommergibili da trasporto per i collegamenti con l’alleato Giappone, vennero in maniera diversa coinvolti nell’armistizio fra Italia ed alleati dell’8 settembre 1943.
Il “Cagni”, partito per il Giappone, appresa la notizia in navigazione il 20 settembre 1943, si consegnava agli inglesi nel porto britannico di Durban (Sud-Africa).
Il “Torelli”, il Giuliani” ed il “Cappellini”, che avevano raggiunto la base giapponese di Singapore accolti con tutti gli onori, vennero dopo l’8 settembre sequestrati dai giapponesi ed i loro equipaggi rinchiusi in terribili campi di prigionia.
Il “Finzi” ed il “Bagnolini”, che erano rimasti a Betasom, dopo armistizio furono catturati alla banchina dai tedeschi.


Il primo contatto fra sommergibilisti italiani e tedeschi non fu certamente incoraggiante.
Giulio Raiola, nel suo “Timoni a salire” – Ed.Mursia 1978 – scrive che Mario Leoni, comandante del “Malaspina” giunto per primo a Betasom, sceso dal battello si trova di fronte “un personaggio alto, secco, grandi orecchie, naso aguzzo, labbra sottili, un uomo all’apparenza secco e distaccato” che dopo aver attentamente osservato le strutture del sommergibile italiano, senza preamboli, ed indicando la torretta , gli chiede:”Lei va per mare con quell’affare? Pare un castello. Si può buttar giù?”. Ed alla risposta dell’ufficiale italiano che non lo crede possibile, sentenzia:”Così finirete in malora anche voi come tanti altri vostri colleghi”.
Quell’uomo era l’Amm.Karl Doenitz, comandante della flotta sottomarina germanica, e le sue parole
riflettevano il parere dei tedeschi sulle caratteristiche costruttive dei nostri sommergibili rispetto ai loro.
I sommergibili italiani, costruiti in un arco di tempo brevissimo prima dell’inizio della guerra e che costituirono una delle più numerose - se non la più numerosa – flotta di sommergibili (113) all’inizio del conflitto, erano stati costruiti per un tipo di guerra sottomarina considerato dai tedeschi ormai superato.
Si trattava in prevalenza di una specie di “incrociatori sottomarini” di grosso tonnellaggio dotati di grande autonomia ma piuttosto lenti, poco maneggevoli, armati di potente artiglieria , vere navi subacquee destinate alla “guerra di corsa” in mari lontani, a ricercare e colpire naviglio nemico isolato con iniziative individuali. Insomma, una filosofia di guerra sottomarina d’ispirazione garibaldina – Garibaldi, l’eroe venuto dal mare – riflettente anche qui l’ individualismo italiano desideroso di agire senza limitazioni alla propria libertà d’azione e che avrebbe ottenuto risultati ancora migliori ove il comando tedesco dai quali dipendevano operativamente i nostri sottomarini nella base di Betasom li avesse impiegati in maniera diversa.
Scrive infatti a questo proposito Giulio Raiola nell’opera succitata che, a suo avvviso, i successi dei grandi sottomarini italiani sarebbero stati assai maggiori ove fossero stati lasciati liberi di operare nel modo loro più congeniale in acque ove, all’inizio della guerra, il naviglio nemico non godeva ancora di adeguata protezione, e non, come avvenne, nella lotta ai convogli Anglo-americani nel nord-Atlantico tra il parallelo 58° 20’ N ed il 51° 00’ N e tra i meridiani 20° W e 27° W, più vicino alle coste scozzesi, ad occidente della zona operativa tedesca.
La tattica di combattimento degli U-boot fino a che gli avversari non adottarono adeguate contromisure, era invece quella del “branco di lupi” (già collaudata nella prima guerra mondiale) che prevedeva l’attacco di sottomarini agili e veloci in grado di individuare i convogli avversari, di seguirli pazientemente attendendo il momento più favorevole per l’attacco, e quindi scatenare bordate di siluri che raramente mancavano il bersaglio.
Gli innegabili successi ottenuti dai nostri sommergibili in Atlantico – 101 navi affondate per complessive 569.000 tonnellate - vennero però considerati inadeguati in confronto a quelli tedeschi e verso la fine del 1942 non più in grado di affrontare missioni offensive.
Per questo, a partire da tale periodo e nei primi mesi del 1943, i comandi italiano e tedesco si accordarono per trasformarli, data la loro maggiore capienza, in unità da trasporto sulle lunghe distanze, in inediti “sommergibili-cargo” destinati a stabilire i collegamenti, divenuti impossibili per via aerea o con naviglio di superfice, con il lontano alleato Giappone.
Argomento, questo, certamente degno di ulteriore approfondimento.
Giovanni Zannini

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