domenica 10 giugno 2012


GIORNALISTI CONDOTTIERI GARIBALDINI

Al giorno d'oggi i giornalisti possono  seguire come inviati le operazioni militari al seguito delle truppe combattenti sia pure con molte limitazioni rispetto a quei corrispondenti di guerra che nel passato spesso riuscivano anche ad andare in prima linea.
Nel nostro Risorgimento, soprattutto nell'ambiente garibaldino - particolarmente vivace -  vi furono invece almeno due casi nei quali  giornalisti dotati di grande coraggio oltre che di spirito d'avventura, seppero impugnare, oltre alla penna, anche la spada, con risultati assai brillanti anche dal punto di vista militare.

Uno di questi fu Nandor Eber (1825-1885) di origine ungherese naturalizzato inglese, patriota che si era battuto per la libertà dell’Ungheria dall’Austria e che  si era rifugiato con altri compatrioti in Italia combattendo per la sua libertà dando vita (assieme al col. Istvan Turr) alla valorosa “Legione ungherese” che si battè agli ordini di Garibaldi nel Risorgimento italiano. Nel 1860 lo troviamo accreditato come corrispondente inglese del “Times” a Palermo, ed in tale veste è in grado di fornire a Garibaldi sbarcato  con i suoi Mille in Sicilia e che si accinge ad attaccare,  l’esatta dislocazione delle truppe borboniche davanti a  Palermo, spiegando  la via migliore per entrare in città. Queste preziose informazioni consentono la sua conquista ed in premio della sua preziosa collaborazione Garibaldi lo nomina colonnello brigadiere affidandogli, in sostituzione del col.Istvan Turr che si era ammalato,  il comando della 15° divisione della quale fa parte la “Legione Ungherese”. Attraversando il centro dell’isola, passando per Caltanisetta e Castrogiovanni, la divisione di Eber raggiungerà il 15 luglio 1860 Catania già abbandonata dai Borboni che l’avevano saccheggiata.
Resta da dire che, passato lo stretto, e risalita verso il nord, la legione al comando di Eber e di Turr (nel frattempo risanato) partecipa in maniera determinante alla battaglia campale del Volturno e Garibaldi dirà:”La legione ungherese che ho l’onore di comandare  ha dato prova di dedizione ed eroismo  nella scia della gloria del suo popolo”.

Altro protagonista di tale singolare filone giornalistico-militare risorgimentale, fu
 Antonio Gallenga, personaggio certamente esuberante -   n. Parma nel 1810, figlio di un ufficiale piemontese dell'esercito napoleonico, m. 1895 - che  una vita colta e peripatetica, movimentata e piena di avventure condusse in giro per il mondo vivendo esperienze di ogni genere, anche culturali,  dal momento che negli Stati Uniti insegnò italiano  a New York ed a Boston, ebbe la cattedra di italiano al Queen’s College di Londra e della Nuova Scozia, insegnò a Firenze ed a Eton, tenne corsi su Dante a Manchester, conferenze e scrisse un libro.
Come giornalista lavorò per il “Times” che alla fine lo utilizzò come inviato all’estero.
Intraprendente in campo sentimentale seppe mettere a profitto il cuore con gli interessi e un paio di buoni  matrimoni gli assicurarono ottime rendite inducendolo a prendere la cittadinanza britannica vivendo fra gli agi.
Politicamente inquieto, in gioventù, antimonarchico,  aveva progettato di assassinare il re Carlo Alberto al grido di “Lunga vita all’Italia, e muori!”: però il regicidio era fallito... perché non era riuscito a procurarsi l’arma per metterlo in atto.
Ma il comportamento di Vittorio Emanuele II a favore dell’unità d’Italia gli fece cambiare opinione,  ne divenne entusiasta sostenitore e partecipò alla spedizione in Sicilia.
Era giunto con Garibaldi a Messina a bordo del piroscafo “Washington” mandato dal “Times” per sostituire Eber che, forse, troppo impegnato dal comando della sua 15° Divisione in Sicilia, aveva un pò trascurato la penna.
 E siccome anche Antonio Gallenga di guerra, di armi e di soldati se ne intendeva per aver menato le mani nel 1848 a Milano ed a Mantova, e per aver raccontato (sempre per il “Times”) la campagna d’Italia del 1859, Garibaldi  nominò anche lui colonnello e  gli affidò, assieme ad un altro colonnello inglese, Jhon Whitehead,  il comando di una colonna di volontari inglesi ( la “Legione inglese”)  con l’incarico di precederlo, dopo il passaggio dello stretto di Messina,  nella marcia di risalita della penisola.
Occorre premettere che, stando a quanto riferisce lo stesso Gallenga, “per Garibaldi era la norma  impartire ordini di marcia e poi partire lui stesso in testa con quelli del suo seguito, dando per scontato che il suo esercito sarebbe arrivato subito dopo, ma ponendosi di rado il problema di accertare se lo facesse o no”. Pare strano, ma così scrive il collega dell’autorevole “Times”.
L’avanzata di Garibaldi da Reggio a Napoli avvenne dunque con la seguente modalità: avanti a tutti la “Legione inglese” che precedeva anche di 150 chilometri il Generale accompagnato da  un modesto seguito, staccato, a sua volta,   dal grosso dei suoi uomini che lo seguiva a distanza.
Il col. Peard, un pezzo d’uomo grande e grosso, con una gran barba, spesso con il  “poncho” e con   in capo  un  cappello piumato  (indossato  anche dai suoi uomini che taluni  chiamarono perciò i “bersaglieri inglesi”),  assomigliava molto a Garibaldi  ed è infatti  ricordato come “l’inglese di Garibaldi”.
Accadeva così che, scambiandolo per Garibaldi, i borbonici, terrorizzati dalla sua fama,  se la davano a  gambe: ed in tal modo il col.Peard ottenne ad Auletta  la resa di ben 10.000 borbonici comandati dal  generale Calderelli.
Ed a  Gallenga va il merito di aver convinto, grazie alle sue conoscenze in campo avversario, il  governo napoletano  a lasciare Salerno senza combattere e ad arroccarsi a Capua al riparo del Garigliano e del Volturno.
Se, dunque, Garibaldi potè giungere fino là con sorprendente rapidità,  lo si deve  anche alla “Legione inglese”  che, condotta dal gigantesco colonnello Peard e dal suo collega       
Gallenga, contribuì poi anche alla vittoria garibaldina nella battaglia del Volturno che segnò la fine del Regno delle due Sicilie.
Resta da dire sulle virtù giornalistiche dei due.
Pare che Nandor Eber come corrispondente di guerra, alla quale partecipava in prima persona,  non fosse ovviamente molto imparziale anche perché si dice che se si fosse dimostrato neutrale molti lettori del “Times”, grandi ammiratori di Garibaldi, se ne sarebbero dispiaciuti. Quindi…
Per quanto riguarda Antonio Gallenga, la sua specializzazione, prima di divenire inviato all’estero, doveva essere quella di  commentatore politico dal momento che se ne ricordano i virulenti editoriali sul “Times” contro Mazzini cui rimproverava l’avversione alla monarchia.
Parliamo, infine, di compensi.
Non risulta quanto fosse pagato Eber, ma per quanto riguarda Gallenga si sa che per raccontare la seconda guerra d’indipendenza italiana del 1859 il “Times” gli versò ben 80 sterline al mese, che per l’epoca era  una cifra enorme, alla quale, ovviamente, si saranno aggiunte quelle per aver seguito la spedizione dei Mille.
Se poi pensiamo che, oltre a ciò, avrà certamente percepito il soldo relativo al suo grado militare, ci rendiamo conto di come abbia potuto, anche con il concorso della rendita di 1000 sterline annue derivategli dalla morte della moglie Juliet Schunck (ricca ereditiera di famiglia ebraica) acquistare il castello di Llandogo nel Galles ove si riposò fino all’età di 85 anni dalle fatiche accumulate durante la sua lunga, movimentata vita.                             Giovanni Zannini  
  

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