mercoledì 27 giugno 2012


“ORE” ALLA PATRIA

Il 18 dicembre 1935 fu celebrata in Italia la “Giornata della fede” in cui le mogli ed i mariti italiani furono invitati  a donare “Oro alla patria” facendo cadere in un’urna (talora in un elmetto rovesciato come simbolico contenitore) le proprie fedi nuziali.
L’iniziativa era stata lanciata dal governo fascista come risposta alle “Sanzioni economiche” decretate dalla Società delle Nazioni il 18 novembre dello stesso anno contro l’Italia colpevole di aver aggredito l’Abissinia in violazione dell’art.XVI del  suo Statuto.
Grazie all’abilità del governo fascista che in un  momento di grande  difficoltà era riuscito a  convincere  gli  italiani del loro diritto a conquistare l’Abissinia  in cui potersi  espandere e della  quale godere  le (affermate) ricchezze, e quindi di  reagire alla grande ingiustizia subita,  l’iniziativa ebbe un innegabile successo per merito  anche dell’esempio dato dalle supreme autorità nazionali e da altri illustri personaggi.
Il re Vittorio Emanuele donò lingotti d’oro, la Regina Elena la propria fede, accompagnandola con un proclama, il principe ereditario Umberto il “Collare dell’Annunziata”, Guglielmo Marconi, oltre all’anello, la medaglia da senatore, Luigi Pirandello la medaglia del Premio Nobel, e Gabriele d’Annunzio, oltre alla fede (ricordo del suo matrimonio con Maria Hardouin, duchessa di Gallese, il che non costituì certamente per lui, che con la fedeltà coniugale non ci aveva molta dimestichezza, gran sacrificio)  addirittura, riferiscono le cronache, “una cassa d’oro”: ed in totale vennero raccolte 37 tonnellate d’oro e 115 d’argento.
Anche oggi,  e ancora una volta, l’Italia si trova di difficoltà e vien da chiedersi se non si potrebbe, per superarla,   indirizzare l’entusiasmo di una volta  - che trasformò,  purtroppo  l’oro e l’argento  in armi e gas asfissianti per portare la civiltà ai selvaggi etiopi -  a fini più nobili.
Vogliamo forse  che il Presidente Napolitano e la signora Clio ascendano  la scalinata del Vittoriano per versare  i propri anelli nuziali - sia pure  in un contenitore più pacifista che non  un elmetto da guerra -  e che gli altri italiani facciano, sul loro esempio,  altrettanto in municipio?.
Non direi  sia il caso, perché a questo mondo occorre rinnovarsi e ricorrere a idee nuove,  ed anche perché,
con tutti i  conviventi che ci sono oggi in giro i quali, notoriamente, delle fedi, non sanno che farne, i risultati sarebbero disastrosi.
Perché non pensare, allora,  a donare all’Italia non più oro, ma “ore” di lavoro, per aiutarla a superare i guai in cui attualmente si trova?.
Mi hanno sempre colpito le statistiche allorchè, confrontando i risultati economici di un mese rispetto al precedente, attribuiscono l’eventuale risultato negativo alla perdita di ore di lavoro per festività infrasettimanali o per ore di sciopero:   parrebbe perciò logico che, se invece che sottrarle, si aggiungessero ore al lavoro, la produttività ne trarrebbe indubbio beneficio.
E allora, una volta alla settimana l’impiegato, pubblico o privato, con il suo dirigente, resta un’ora di più in ufficio, l’operaio, con il suo direttore, idem in fabbrica, il medico in ospedale, il  poliziotto sulla strada, il giudice in tribunale, l’insegnante a scuola -  ma qualcosa si dovrebbe pensare anche per i liberi professionisti e pure per alcuni  pensionati troppo spesso inutilizzati - prolungano  di un’ora il proprio servizio.
Il  tutto, rigorosamente,“ gratis” e su base volontaria, per cui chi lo facesse avrebbe la soddisfazione morale di considerarsi un po’ patriota, mentre gli altri dovrebbero sentirsi un po’ vigliacchi.
Si tratta di vedere, se, a 150 anni dall’unità  gli italiani, dopo aver tanto lodato quelli che per essa ci hanno spesso rimesso  la pelle, sarebbero oggi disposti, senza spendere un quattrino,  a dare una  mano alla ripresa dell’Italia solo rinunciando, una volta alla settimana, a un po’ di riposo o alla partita a briscola.                                                                                                               
                                                                                                                                    Giovanni  Zannini








       

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