giovedì 3 gennaio 2013

A Gerusalemme - IL PRIMO CONCILIO: PICCOLO, BREVE, DECISIVO

PREMESSA
Se io fossi il direttore di un giornale e dovessi scrivere un articolo sull’argomento che andiamo a trattare,  sparerei  in prima  pagina, ed a caratteri cubitali,  il seguente titolo: “Duello fra Pietro e Paolo ad Antiochia”.
E questo perchè la vicenda che viene raccontata negli Atti degli Apostoli al cap.15 e, con maggiori dettagli, nella lettera di Paolo ai Galati, è  poco conosciuta dalla maggioranza dei cattolici per cui la pubblicazione potrebbe costituire un autentico “scoop” e creare interesse a conoscere la singolare vicenda. Essa testimonia un aperto dissenso fra Pietro e Paolo: infatti,  nell’edizione della vecchia Bibbia in mio possesso, la parte della lettera ai Galati che tratta del  Concilio di Gerusalemme viene riportata  con questo vistoso sottotitolo: “Paolo ebbe l’ardire di riprendere  pubblicamente Pietro in Antiochia”.
Da parte sua, Papa Benedetto, senza peli sulla lingua,  come dimostrano sue recenti dichiarazioni molto franche,  nell’udienza generale dello scorso mercoledì 1 ottobre 2008, parla di “incidente di Antiochia di Siria”: un modo elegante per non parlare apertamente di “scontro” fra Pietro e Paolo.
Ma per comprendere il significato del Concilio di Gerusalemme svoltosi in questa città circa nel 50 d.c. occorre riferirsi all’importante problema che il cristianesimo delle origini dovette affrontare:   se i cristiani convertiti dovessero continuare ad osservare la legge mosaica il cui punto più importante prevedeva, come noto, l’obbligo della circoncisione.
In proposito si manifestarono due correnti: l’ una,  sostenuta dai cristiano- gentili, ossia dai pagani (i gentili) convertiti al cristianesimo, con a capo Paolo che negava la necessità di osservare la legge mosaica; l’altra, sostenuta dai giudeo- cristiani, ossia dai giudei convertiti al cristianesimo cui apparteneva Pietro  affermava, al contrario,   l’ obbligo di osservarla..

L’”INCIDENTE” DI ANTIOCHIA
Andiamo ora ad Antiochia (l’antica Antakya) ove  esisteva una comunità creata da Paolo composta in maggioranza da   cristiano-gentili,  i quali vivevano in pace e tranquilli nella loro convinzione, fino a che,  a turbare la loro serenità,  arriva ad un certo punto  un gruppo di giudeo-cristiani  i quali, affermando di essere inviati dalla Chiesa di Gerusalemme  - composta in maggioranza da farisei (giudei) convertiti -  dicono senza tanti complimenti ai  cristiano-gentili della città che è loro obbligo  osservare la legge mosaica e quindi, in primis, che pur essi si devono far circoncidere anche se non ne hanno  alcuna voglia.   
Ma Paolo insorge e contesta decisamente la loro pretesa  affermando che il sacrificio di Cristo sulla Croce ha giustificato (ossia, reso giusti) gli uomini:  non vi è più, dunque, la necessità di essere giustificati dalle opere della legge mosaica la quale fu data agli uomini, dice Paolo, “perché fosse preparazione a Cristo” il quale,  con la sua venuta, li ha liberati da essa. E se, aggiunge, la giustificazione (ossia, l’esser fatti giusti) si dovesse ottenere per mezzo della legge (mosaica), Cristo sarebbe  morto invano.
A questo punto, dato  che nel momento in cui arrivano quei rompiscatole, ad Antiochia c’è pure Pietro, ex giudeo,  che va d’amore e d’accordo  (Paolo dice che “mangiava con loro”) con i cristiano-gentili della città, ci si chiede se e quale atteggiamento prenda Pietro nei confronti dei nuovi venuti.
 Tace,  non prende posizione, e nella lettera ai Galati, visto che lui “si ritraeva e se ne stava da parte”,  Paolo reagisce e lo rimbrotta con parole sferzanti.
 Ma come, gli dice, “se tu che sei giudeo vivi da gentile (mangi qui, con loro) e non da giudeo, come mai  costringi  i gentili (aggiungo io, con il tuo silenzio, e l’atteggiamento ambiguo) a seguire la legge dei giudei?”. Pietro non risponde, ma si capisce che lo fa “per timore di disgustare e allontanare dalla fede i circoncisi”, ossia i giudei-cristiani,  ma così facendo permette che molti cristiano-gentili di Antiochia si facciano convincere dai messaggeri di Gerusalemme e passino dalla loro parte. Allora Paolo, preoccupato per la piega che la cosa sta prendendo, assieme a Barnaba ed a Tito, suo fedele collaboratore,  decide di recarsi alla Chiesa madre di Gerusalemme anzitutto per sapere se quelli che erano arrivati ad Antiochia erano stati veramente da essa inviati e parlavano in suo nome,  e poi per conoscere il suo punto di vista sull’obbligo o no, da parte dei cristiani convertiti,  di dover continuare ad osservare la legge mosaica.
A Gerusalemme trova Pietro - che  vi aveva fatto ritorno dopo il soggiorno ad Antiochia  - assieme agli altri Apostoli, a Giacomo il Minore, Vescovo della Chiesa madre di Gerusalemme  ed agli anziani e, finalmente, il Concilio di Gerusalemme ha inizio.

COMINCIA IL CONCILIO
Paolo racconta  tutto quello che Dio aveva compiuto per mezzo suo durante il lungo viaggio  attraverso la Fenicia e la Samaria, più faticoso di quello che avrebbero potuto fare per mare,  ma molto più fruttuoso sul piano dell’evangelizzazione.
Terminata la sua esposizione, “si alzarono allora alcuni della setta dei Farisei  (giudei divenuti cristiani) che dissero:”Bisogna circoncidere anche i gentili (ossia i pagani divenuti cristiani) e imporre loro di osservare la legge di Mosè””
Allora interviene Pietro che evidentemente, è interessante notarlo, si è pentito dell’atteggiamento ambiguo tenuto ad Antiochia, e che questa volta prende nettamente posizione a favore della tesi di Paolo dicendo:”…Dio, che conosce i cuori, ha dato ad essi (i gentili) testimonianza  dando loro lo Spirito Santo come a noi: non ha fatto nessuna differenza fra noi (i giudei) e loro, avendo purificato i loro cuori per mezzo della fede. Ordunque perché imporre sul collo dei discepoli (i pagani convertiti) un giogo che né i nostri padri né noi abbiamo potuto portare? Ma per mezzo della grazia del Signore  Gesù crediamo di esser salvi  noi (i giudei) allo stesso modo di loro (i gentili)”: quindi la legge mosaica non va più osservata.
Udite le due diverse tesi, “gli Apostoli e gli Anziani si riuniscono per esaminare la questione” ed alla fine Giacomo il Minore, Vescovo della Chiesa madre di Gerusalemme, illustra  la decisione presa dall’assemblea: una soluzione di compromesso che accontenta tutti.   
Dice infatti Giacomo: “Ritengo che non si debba importunare quelli  che si convertono a Dio fra i pagani, ma solo si ordini loro di  astenersi dalle sozzure degli idoli, dalla impudicizia, dagli animali soffocati e dal sangue”: l’obbligo della circoncisione che costituiva l’ostacolo principale per la fede dei pagani  è, come si vede, finalmente decaduto.
A seguito di ciò l’assemblea decide di mandare ai fratelli di  Antiochia una lettera contenente le decisioni prese, e l’affida   a Paolo e Barnaba assieme a Giuda (detto Barsabba) e Sila (Silvano),  uomini eminenti  della Chiesa madre di Gerusalemme.
Ma qual è il contenuto di tale lettera?

LA VITTORIA DI PAOLO
Anzitutto chiarisce che quel gruppo di persone arrivate ad Antiochia “a turbarvi con i loro discorsi  che hanno agitato i vostri animi, non avevano avuto alcun mandato speciale” dalla Chiesa di Gerusalemme contrariamente a quanto da essi  affermato; quindi riferisce sull’esito del Concilio  che, come abbiamo sopra visto,  ha mantenuto in vita  solo alcune prescrizioni della legge mosaica abolendo però l’ obbligo di farsi circoncidere che era per i pagani convertiti, il più difficile  da osservare.
Arrivati ad Antiochia, Paolo, Barnaba, Giuda e Sila lessero ai  cittadini il messaggio  che era stato loro affidato, e quelli  “ne rimasero contenti per l’esortazione che essa conteneva”. Allora  Giuda e Sila, “che erano pur essi profeti, rivolsero più volte la parola ai fratelli  per esortarli e fortificarli”, dopo di che  Giuda se ne tornò a Gerusalemme mentre Sila, che evidentemente ci si era trovato bene, restò ad Antiochia.
Da parte loro Paolo e Barnaba, dopo aver pur essi predicato,  dopo alcuni  giorni, lasciata Antiochia , si rimisero in cammino per andare a visitare i fratelli delle varie città in cui avevano predicato, “per vedere come stanno”, una premura paterna molto commovente.    
La vicenda, dunque,  è a lieto fine e, se vogliamo usare un linguaggio sportivo, possiamo dire che il “match” si chiude nettamente a favore di Paolo.

COMMENTI
Ma quali insegnamenti possiamo trarre da questa vicenda alla quale ho voluto dare un taglio cronachistico, come da inviato speciale accreditato al Concilio di Gerusalemme, e quali pensieri può essa suscitare? Eccone alcuni.

1)      Dal Concilio di Gerusalemme emerge quale sia nella Chiesa il grande valore della collegialità secondo la quale i problemi che la riguardano vanno affrontati e discussi dai partecipanti nelle sedi competenti con la massima libertà  affidando poi l’obbligo di prendere le decisioni definitive a chi ha la responsabilità suprema, il Papa.
2)      Il sistema democratico non è sempre applicabile nell’ambito della Chiesa. Ferma, infatti,  la necessità della più ampia consultazione,  il Papa non può essere  vincolato dal parere di eventuali maggioranze che egli non condivida.
3)       Nella Chiesa vi deve essere la più ampia libertà di espressione ed in proposito cito quanto scritto sul suo giornale il 13 luglio 2008 dal Direttore della Difesa del Popolo don Cesare Contarini  :”Ai pastori fa bene  “percepire” cosa i fedeli sentono, pensano, dicono e scrivono…..Quando incontriamo un’opinione diversa dalla nostra, prima di scartarla o contestarla o prendercela con chi la  esprime, vediamo come ci può essere utile.  Può offrirci un punto di vista ignoto o farci conoscere una prospettiva fino ad allora fuori dalla nostra visuale, che potrebbe illuminarci su esperienze e riflessioni  di chi la pensa diversamente da noi dentro o fuori la Chiesa, può costringerci a studiare e approfondire meglio le ragioni della nostra fede e delle nostre scelte etiche”.   
4)      Nella allocuzione del 24.1.1960 in occasione dell’inaugurazione del Sinodo della Chiesa romana,  Papa  Giovanni XXIII affermava:”…. La Santa Chiesa è depositaria ed interprete della dottrina di Gesù e ne contiene l’insegnamento che non muta: ma quanto alla disciplina ed alle forme accidentali e secondarie ne consente, secondo i tempi e le circostanze, qualche modificazione……”
E allora mi chiedo: quali sono le forme “accidentali e secondarie” che possono essere modificate dal trascorrere del tempo? Certamente la liturgia, la Messa in latino, i canti ed i suoni in chiesa, tamburi compresi, la disposizione degli altari, gli indumenti degli ecclesiastici, e così via.
Ma possiamo considerare tali, ad esempio, il   celibato dei sacerdoti, o il sacerdozio delle donne? 
                   
                                                                                                                                                                      Giovanni  Zannini                                                                                                          
Nota: le frasi fra virgolette sono quelle autentiche degli Atti e della lettera Paolina ai Galati.

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