giovedì 17 gennaio 2013

IL LAMENTO DI CLARETTA

Il libro “Dongo – La fine di Mussolini” – Arnoldo Mondadori Editore 1962) scritto a 4 mani da Pier Luigi Bellini delle Stelle (“Pedro”), comandante della 52° Brigata partigiana Garibaldi che il 27 aprile 1945                         catturò a Dongo Benito Mussolini e l’amante Claretta Petacci assieme ad alcuni ministri del suo governo fantoccio, e da Urbano Lazzaro (“Bill”) vice Commissario Politico,  costituisce un importante documento storico del tragico avvenimento e stupisce per il taglio obbiettivo e pacato con cui i fatti sono raccontati: nessuna  espressione  ingiuriosa verso gli importanti prigionieri così gravemente colpevoli caduti inaspettatamente nelle loro mani, ciononostante trattati con correttezza militare e, talora, fatti anche oggetto di gesti umanitari.
Colpisce, in particolare, il colloquio fra il comandante Pedro (un nobiluomo di sentimenti monarchici che per le sue notevoli capacità militari è stato eletto comandante di una brigata partigiana comunista), e la “prigioniera” Clarice Petacci detta Claretta. Esso avviene in una piccola stanza a piano terra del comune di Dongo ove alla data sopra indicata la donna viene richiusa assieme a Marcello Petacci, all’ amante ed a due suoi figlioletti. Inizialmente essa sostiene che, dovendo recarsi in Svizzera, era stata  accolta a bordo della vettura del Petacci (suo fratello, che si fingeva  un Console Spagnolo) a titolo di cortesia dato che egli era colà diretto.
Ma, di fronte alle contestazioni di Pedro cui Mussolini ha rivelato, in un precedente colloquio, che la signora è la sua amante,  confessa la sua vera identità ed inizia un colloquio patetico con il comandante partigiano - che la tratta con rispetto - durante il quale racconta la storia del suo amore per Mussolini.
A vent’anni, dice, lo  aveva  conosciuto ad una festa restando colpita dalla sua ”personalità fortissima,   per quell’impressione di audacia e di sicurezza che dimostrava. Era allora un vittorioso della vita…” e non vi è dunque da stupirsi che  anch’essa, come molte altre donne,  ne sia rimasta soggiogata.     
Osservandolo, Claretta si avvede però che, nonostante i suoi continui successi sentimentali, l’uomo non è soddisfatto perché non aveva mai incontrato l’amore vero dalle donne che se lo contendevano e si concedevano a lui  solo per ottenere vantaggi materiali  o per ambizione.
 E quando si accorge che è lei  la donna disposta ad amarlo non per interesse o favori, ma con la vera “missione” di  essere per lui  “una dolce e cara amica dalla quale si corre quando si ha bisogno di sfuggire …alle tempeste della vita, per rifugiarsi  in un posto tranquillo, in un’atmosfera di serenità e di pace”, il duce stabilisce con lei  quella “comunione intima dello spirito” che è sempre stata l’aspirazione segreta dell’anima di Claretta.
Un amore, dunque, vivo, sincero ed intenso, disinteressato, che la porta a superare la gelosia “per tutte le amanti che ha avute : lo comprendevo e lo perdonavo…e sopportavo con rassegnazione  tutti i suoi tradimenti…Mi contentavo di essere la padrona della sua anima e dei suoi sentimenti…e di essere la sua consolatrice e la confidente dei suoi  segreti dolori, mi accontentavo…che con me sola si sfogasse di tutte le amarezze che gli cagionava il potere, intrighi, lotte fra coloro che egli aveva favorito, influenze misteriose…e altre questioni che io neanche capivo  ”, dice la donna tra le lacrime. E tale da indurla a seguirlo anche nel momento della disgrazia, anziché mettersi in salvo con i suoi all’estero, come avrebbe potuto facilmente fare.
 Pedro che, lo confessa, è un po’ commosso di fronte a quelle lacrime, le rifaccia di essere stata, invece, per tanto tempo  la consigliera del duce e di essersi occupata di politica: ma la donna nega recisamente.
“Non ho mai avuto” dice “ l’idea di occuparmi di politica  o di cose di governo,  oppure di consigliarlo in tal campo…ho usato l’influenza che avevo su di lui per raccomandare qualcuno  - ufficiali, gerarchi, pezzi grossi caduti in disgrazia - che venivano a pregarmi di perorare  presso di lui la sua causa. E tutti ho cercato di aiutare perché ho sempre voluto fare del bene ad altri...Perfino (pensi che umiliazione) le sue amanti delle quali si era stancato dopo breve relazione venivano a me per raccomandarsi. Ed anche per loro, creda, mettevo spesso una buona parola…”.      
Emerge, dunque, da questo colloquio – e ciascuno è libero di credervi o no - la figura di una donna disinteressata che desidera evidenziare, al  dilà  dell’aspetto sessuale ed erotico, soprattutto il lato sentimentale ed affettivo che la legava al duce, ed il suo intento di  utilizzare i vantaggi  che le derivavano dal rapporto con lui solo per fare del bene agli altri, perfino (e questo è, francamente, assai difficile da credere)  alle  amanti  che in gran numero venivano scaricate da Mussolini.
 Nel corso del colloquio la donna chiede quali siano le intenzioni dei partigiani nei confronti suoi e di Mussolini, e Pedro le risponde di non poterle dir nulla perché in attesa di ordini dai suoi superiori .
Per quanto la riguarda, la Petacci ritiene “di non aver niente a che fare con le autorità: chi vuole che si occupi di una povera donna come me? Io non ho delitti o colpe di cui rispondere , non possono accusarmi di niente, e quindi mi lasceranno certamente libera ”, mentre più la preoccupa il destino del suo amante che, a suo avviso, andrebbe consegnato agli Alleati.
Decisa è la reazione di Pedro: Mussolini, secondo lui,  non andrà consegnato agli Alleati perché “la questione riguarda esclusivamente gli italiani e solo noi siamo in diritto di giudicarlo” al che la donna replica, sdegnata:”Un processo? E’ terribile…meglio sarebbe stato, allora, che morisse subito…”. E l’altro: ”Avrebbe potuto morire subito, signora. Quando  è stato scoperto e arrestato, era armato e in mezzo ai suoi uomini. Perché  non ha cercato di difendersi ingaggiando combattimento? Avrebbe potuto, quasi certamente, uscire vincitore, oppure sarebbe stato ucciso combattendo,  e sarebbe certamente stata una fine più dignitosa per lui”. “Era troppo abbattuto, troppo spossato…non avrà avuto la forza…” è la risposta.
Il colloquio (durato, scrive Bellini delle Stelle, “un’ora buona e forse anche più”) è finito, ed il partigiano, dopo aver salutato ed averle confermato che finchè dipenderà da lui, nulla di male le potrà accadere, si avvia alla porta, ma la donna lo ferma  invocando: ”Mi  metta con lui!”.
Pedro risponde che prima di decidere sulla sua richiesta, si deve consultare con i compagni, ed esce.
“Neri” (Luigi Canali – Capo di Stato Maggiore della Brigata) e “Pietro” (Michele Moretti -                                      Commissario politico)  interpellati, dicono di non aver nulla in  contrario alla riunificazione dei due amanti: e quando  il comandante le riferisce  che la sua richiesta è stata accolta,  la Petacci, fra le lacrime, mormora “Grazie! Grazie” ed afferra la mano dell’uomo, che la ritrae, per baciargliela.
L’episodio è certamente toccante, e Pedro scrive:”…A tanto giunge dunque l’amore di quella donna! Non posso ora evitare  di guardarla con ammirazione e pietà”.
Esso manifesta altresì il comportamento corretto dal punto di vista militare - ed in alcuni casi umanitario  – tenuto dai partigiani che catturarono Mussolini, l’amante ed il suo seguito,   nei loro confronti.
Ben diverso da quello del  colonnello Valerio che irrompe a Dongo carico di odio e di quei sentimenti di vendetta che avranno il loro culmine nell’indegno  tumulto popolare di Piazzale Loreto infliggendo  una così grave ferita alla nobiltà della lotta di liberazione italiana.                                   Giovanni  Zannini
Padova 14.1.2013    

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