giovedì 26 settembre 2013

BERLUSCONI E ANDREOTTI:DUE IMPUTATI, DUE STILI

In che modo l’imputato Senatore Silvio Berlusconi abbia accolto la sentenza che, dopo anni di giudizio, ed esauriti i tre gradi relativi, lo ha condannato per frode fiscale, è noto a tutti.
Come certi colti in fallo,  proclama la sua innocenza, grida alla persecuzione, si professa vittima dell’ingiustizia,  critica violentemente i magistrati che l’hanno condannato,  li accusa di inciucio con la politica e  chiama i cittadini a protestare  contro quei giudici  in malafede.
Ben diverso il comportame tenuto  da un altro importante personaggio della politica italiana -  scomparso pochi mesi fa – il Senatore Giulio Andreotti, lui pure incappato in vicende giudiziarie.
Nel corso di 11 lunghi anni egli le ha  affrontate con la dignità del cittadino fiducioso nell’indipendenza della Magistratura, sicuro che alla fine la verità avrebbe trionfato.   Nei  due processi contro di lui intentati ( per associazione mafiosa e per l’omicidio del giornalista Mino Pecorelli) vi furono, prima di arrivare alla definitiva assoluzione, anche sentenze di condanna.
Che fece allora: inveì contro chi l’aveva condannato, gridò allo scandalo, si proclamò vittima di congiure e di manovre occulte?
Nulla di tutto questo. Il suo atteggiamento fu di estrema correttezza, di accettazione delle regole del gioco senza mai sottrarvisi. Seguiva con grande attenzione, puntigliosamente, le vicende processuali, era spesso presente in aula, non protestava  contro i magistrati che lo giudicavano perché, diceva, “occorre difendersi  nei processi e non dai processi”. Dopo una condanna in primo grado poi riformata in appello, si limitò a commentare  che essa era stata “una mortificazione che forse bilanciava i troppi onori che avevo avuto nel passato” concludendo  che “è inutile drammatizzare”.
Due comportamenti, due stili diversi, quello di Andreotti,  vero uomo di stato nato e vissuto alla scuola di De Gasperi, e quello di Berlusconi,  uomo d’affari (innegabilmente abilissimo) prestato alla politica,  uso ad abbattere  con tutti i mezzi gli ostacoli che gli si parano dinnanzi, e che s’indigna contro chiunque osi intralciare la sua marcia.
Per non parlare di chi, con argomentazioni fantasiose e ridicole,  sostiene che non è possibile espellere dalla vita politica un condannato che ha avuto milioni di voti elettorali,  e che continuano a seguire un “leader”che, condannato dalla Magistratura italiana, neppure la società più scalcagnata vorrebbe veder seduto nel proprio consiglio d’amministrazione.

                                                                                                                             Giovanni Zannini

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