sabato 26 settembre 2015

UN COLPO DI STATO ANOMALO

Nella lontana trasmissione televisiva di Porta a Porta dell'ottobre 2004 in cui Romano Mussolini ha rievocato la figura del padre Benito, sono state fatte alcune affermazioni che meritano di essere precisate.
Anzitutto, si è detto che all’interno del Gran Consiglio del Fascismo era sopravvissuto un residuo di democrazia in quanto era previsto il diritto di voto dei consiglieri che potevano quindi dissentire dal Duce.
L’affermazione è solo apparentemente esatta.
Il “Regolamento interno del Gran Consiglio del Fascismo” approvato all’unanimità dallo stesso consesso nella seduta del 9 aprile 1929 , coperto da segreto di stato per tutto il periodo fascista, sin qui inedito ed attualmente in mio possesso, prevedeva in effetti il diritto di voto dei consiglieri regolato dettagliatamente nel paragrafo “Delle adunanze” agli articoli da 11 a 17.
Ma, in realtà, tale apparente cascame di democrazia veniva brutalmente annullato dall’art.2 del Regolamento stesso che prevedeva un vero e proprio diritto di veto del Capo del Governo Presidente del Gran Consiglio il quale “ha facoltà di interrompere in ogni momento la discussione su qualsiasi questione e di sospendere la esecuzione delle deliberazioni del Gran Consiglio”.
Viene da chiedersi perchè Mussolini non si sia avvalso di tale potere nella drammatica seduta del 24 luglio 1943 in cui la maggioranza approvò l’ordine del giorno Grandi a lui sfavorevole.
Forse perché, stressato dall’esercizio di un potere assoluto protrattosi per vent’anni e reso consapevole del suo fallimento dall’invasione della Sicilia da parte degli alleati, non ebbe più la forza di affrontare i nuovi drammatici problemi che sarebbero derivati dal suo “veto” e preferì percorrere la strada in allora costituzionale aperta dal voto del Gran Consiglio per rimettersi in extremis in carreggiata sulla via di quella democrazia a suo tempo combattuta e vilipesa nella speranza di una sua uscita meno traumatica dal pantano in cui era andato a cacciarsi.
Da quanto precede emerge anche discutibile che si possa qualificare colpo di stato quanto avvenne in Italia nel luglio 1943 nel rispetto di una procedura che era stata acutamente prevista, in tempi non sospetti - 1940 – da Paolo Biscaretti di Ruffia, libero docente di diritto costituzionale nell’Università di Roma,
Nel suo “Le attribuzioni del Gran Consiglio del Fascismo” egli scriveva infatti, lucidamente, che il Gran Consiglio, “solito a collaborare in diretto contatto con il Capo del governo, entra in contatto con la Corona soltanto in quegli estremi momenti in cui è in gioco il destino della nazione quando il Sovrano, supremo arbitro della corrispondenza di un determinato indirizzo politico alle necessità più vitali della collettività nazionale, deve addivenire alla nomina di un nuovo Capo del governo”.
E’ quanto precisamente avvenne il 25 luglio: il Re, preso atto del voto del Gran Consiglio – terzo organo costituzionale, con la Corona ed il Capo del Governo , dello stato fascista - convoca Mussolini ed in base all’art 65 dello Statuto Albertino in allora ancora vigente in base al quale “Il Re nomina e revoca i suoi ministri “, gli revoca la nomina a Primo Ministro e nomina, al suo posto, Pietro Badoglio.
Senza che si sia sparato un sol colpo di pistola:
E’ dunque giusto continuare a parlare di “Colpo di stato del 25 luglio 1943?”. Giovanni Zannini









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