mercoledì 30 marzo 2016

Il calvario dei prigionieri "irredenti" nella I Guerra Mondiale - ITALIANI DISPERSI IN RUSSIA

Si dice che la storia si ripete, ed è vero, perchè anche la prima Guerra Mondiale conobbe la tragedia, poi verificatasi nella seconda,  di  molti soldati  di etnia italiana fatti prigionieri e poi dispersi in Russia.
Infatti il “Corriere della Sera” del 14 marzo 1927 ha il titolo ”Gli italiani dispersi in Russia” che potrebbe apparire su qualsiasi altro giornale dei giorni nostri  a proposito dei militari italiani dispersi in Russia, ma nella II Guerra Mondiale e ci si chiede come mai questa situazione si sia potuta verificare.
Occorre dunque chiarire che nel primo conflitto mondiale  l'Austria aveva arruolato soldati di etnia italiana  poi da noi definiti “irredenti”, ossia nativi di quelle terre che all'epoca sotto dominazione austriaca furono poi “redente”, ossia assegnate all'Italia dopo la sconfitta degli austriaci.
Essi, nativi del  Trentino, Venezia Giulia e Dalmazia, dopo l'entrata in guerra dell'Italia furono mandati dall'Austria a combattere sul lontano fronte russo  nel dubbio fondato che le aspirazioni autonomistiche di molti di loro, insofferenti del dominio austriaco, avrebbero negativamente influenzato la loro combattività a favore dell'odiato austriaco.
Coinvolti nelle drammatiche battaglie fra russi ed austriaci che insanguinarono il fronte orientale a cavallo tra il 1914 ed il 1915, gli italiani “irredenti” privi di ogni motivazione per combattere a favore del loro oppressore preferirono arrendersi e circa 25.000 di loro furono fatti prigionieri dai russi e sparpagliati in tutto l'immenso territorio dell'impero zarista.
Ma quando nel 1915 l'Italia, dopo un anno di neutralità, entrò in guerra a fianco della “Triplice Alleanza” (Inghilterra, Francia e Russia), gli italiani “irredenti” che rinnegarono il giuramento fatto all'Imperatore d'Austria (12 o 13.000 uomini), divennero automaticamente alleati della Russia, e per questo liberati dai campi di prigionia: ma lasciati completamente in  balia di loro stessi.
Stupisce che, anziché utilizzare questi uomini facendoli  combattere non più per l'Austria, ma contro di essa, i comandi della nuova quadruplice alleanza (la “Triplice” più l'Italia), naturalmente avidi di “manodopera” combattente,  abbiano invece rinunciato al loro apporto. Ma quella “manodopera” era inutilizzabile militarmente dal momento che gli “irredenti”, se catturati, sarebbero stati immediatamente passati per le armi come disertori (vedi Cesare Battisti e Nazario Sauro), e questo timore avrebbe bloccato del tutto le loro capacità combattive: donde la decisione di smobilitarli e farli rientrare in Italia.
Per questo, una commissione militare italiana nella quale spiccava il Capitano dei Carabinieri Cosma Manera - ufficiale intraprendente, molto efficiente ed abile che prese a cuore la sorte di quegli uomini sfortunati - giunta in Russia, si dedicò anzitutto a "rastrellarne" quanti più possibile  ed a concentrarli  in campi di raccolta a Kirsànov ed a Tambov..
Ma il loro rimpatrio si rilevò  immediatamente assai arduo perchè la via più breve per raggiungere l'Italia attraverso la Grecia era ostruita dalla Bulgaria entrata in guerra a favore degli austro-ungarici per cui fu giocoforza scoprire vie nuove.
Una prima soluzione fu quella di raggiungere in treno il porto di Arcangelo nel nord della Russia, sul Mar Bianco, e da qui imbarcare circa 4.000  “irredenti” su piroscafi che, dopo aver aggirato il nord della penisola scandinava,  raggiunsero l'Inghilterra e da qui, attraverso la Francia, l'Italia.
Ma allorchè i ghiacci impedirono la navigazione sul Mar Bianco, gli organizzatori furono costretti a scovare per gli uomini rimasti a Kirsànov ed a Tambov una nuova via di fuga.
Fu così studiato un itinerario ancor più lungo e periglioso, che mediante la ferrovia Transiberiana raggiungeva alla fine, nell' estrema parte orientale della Russia, il porto di Vladivostok sull'Oceano Pacifico ove gli "irredenti" si sarebbero imbarcati per raggiungere, dopo una lunga navigazione sull'Oceano Indiano e attraversato il Canale di Suez, l'Italia.
Ma, arrivati a Vladivostok, la situazione nel frattempo precipitata a causa dello scoppio della rivoluzione comunista i n Russia,  indusse gli organizzatori di questo tragico trasferimento a spostare gli ex prigionieri in un altro porto più sicuro  da cui imbarcarli. Iniziò così ' un nuovo massacrante viaggio che da Vladivostok, attraversata la Manciuria, raggiunse la “Concessione di Tientsin” poco distante da Pechino, una specie di colonia ottenuta dall’Italia, come da altri paesi europei, nel  1902, dalla Cina come compenso  per l'aiuto ad essa prestato nella guerra contro i "Boxer". 
Ma non era finita.
Una piccola parte degli “irredenti” potè imbarcarsi e raggiungere finalmente l’Italia, ma quelli rimasti furono coinvolti nella guerra civile scoppiata in Russia dopo la rivoluzione che oppose  i russi comunisti a quelli “Bianchi”, i contro-rivoluzionari rimasti fedeli al defunto Zar che l’Italia, paventando con  inglesi e francesi il prevalere dei comunisti nell’intera Europa, avevano deciso di appoggiare.
Per questo fu costituito il C.S.I.E.O. (Corpo di Spedizione Italiano in Estremo Oriente) con base a Tientsin del quale la “Legione Redenta in Siberia”, composta dagli ex prigionieri austriaci di etnia italiana ormai “redenti”, agli ordini dell'infaticabile Cosma Manera, costituì il primo nucleo poi rafforzato da un contingente di alpini giunti dall’Italia per opporsi con i francesi e gli inglesi ai rivoluzionari russi. Ad esso fu affidato nell’estate del 1919 il compito di mantenere attiva la Ferrovia Ttientsin-Vladivostok in Manciuria per approvvigionare i “Bianchi” fino a che, constatata l’impossibilità di contrastare ulteriormente i rivoluzionari russi,  il C.S.I.E.O. fu rimpatriato alla fine del 1919: ultima, a lasciare la  Cina, la “Legione”, che al suo arrivo  in Italia fu  accolta con qualche contrasto da quanti le rimproveravano il suo passato al servizio degli austriaci.
Ma non tutti gli ex prigionieri  “irredenti” lasciarono la Russia. Scrive infatti il "Corriere della Sera" del 14-3-1927:"... Dei superstiti,  non pochi riuscirono a rimpatriare; altri  sono rimasti, sparsi un po' dappertutto .Nel complesso le loro condizioni non sono buone, tuttavia essi si sono adattati a tali condizioni di vita e non si lagnano,  vivendo in uno stato di completa apatia morale. Qualcuno si è formato una famiglia e questi nuovi vincoli hanno fatto loro scordare i parenti  che in Italia attendono invano il loro rimpatrio…".
Quella stessa "apatia morale" che con incredibile analogia (ricordate il film di De Sica, i "Girasoli",, interpretato da  Mastroianni e dalla Loren?) alla fine della I I Guerra Mondiale, colpì altri soldati italiani  cui la violenza della guerra, le inaudite sofferenze, e, perché no, talora,  il fascino slavo della donna russa, avevano attenuato, e poi, completamente annientato, ogni legame con la terra natia.

Padova 24.3.2016                                                                               Giovanni Zannini

  

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