giovedì 19 ottobre 2017

MUSSOLINI L'OPPORTUNISTA

L'opportunismo fu certamente una delle molte manifestazioni caratteriali messe in risalto dalla storia a proposito della personalità del duce.
Si tratta di un'ansia di presenzialismo, del desiderio di partecipare a fatti ed avvenimenti importanti onde condividere, anche se non richiesto, le iniziative altrui e trarne beneficio a proprio vantaggio per poter poi dire: io c'ero. Anche se, come vedremo, tali iniziative non ebbero spesso successo e non servirono quindi ad ottenere l'ambita gratitudine del potente alleato tedesco.
Alcuni esempi.

A cominciare dall'attacco alla Francia allorchè essa, all'inizio della seconda guerra mondiale, stremata dall'offensiva tedesca, si trovava alle corde: la “pugnalata alla schiena” che i francesi non mancano, all'occorrenza, ancor oggi, di rimproverarci.
Nell'euforia dei successi delle armate tedesche che lasciano presagire una sicura vittoria, Mussolini vuole acquisirsi meriti che gli consentano di sedersi al tavolo dei vincitori e si affretta ad intraprendere un'offensiva sulle Alpi contro la Francia.
La “Battaglia delle Alpi Occidentali” si svolse dal 10 giugno 1940 (data della dichiarazione di guerra) al giorno 25 dello stesso mese, data della firma dell'armistizio fra Italia e Francia, in coincidenza con quello franco-tedesco.
Nonostante la superorità numerica, a causa dell'impreparazione del nostro esercito (male equipaggiato per una guerra in alta montagna – molti i congelamenti) l'offensiva italiana riuscì a scalfire solo in pochi casi le agguerrite difese avversarie ottenendo una penetrazione di pochi chilometri in territorio francese fino a Mentone.
Il costo della battaglia? 631 morti, 616 dispersi e 2.631 tra feriti e congelati, e così il duce potrà vantarsi, con il dittatore tedesco, di aver favorito, con il suo attacco, il tracollo della Francia. .

Ma il duce vuole arricchire il proprio “carnet”, e non si lascia scappare le occasioni.
Hitler, nel 1941 miete successi in Russia con la sua “Operazione Barbarossa” che lascia presumere la conquista di Mosca e la vittoria finale anche sul fronte orientale?
E Mussolini, nonostante il dissenso dei generali della Wehrmact, solo grazie alla “benevolenza” di Hitler, riesce ad inviare in Russia, ad iniziare dal luglio 1941, il CSIR (Corpo di spedizione italiano in Russia) divenuto poi ARMIR (Armata italiana in Russia), una forza di 220.000 uomini schierata sul fronte del Don che, male armati e peggio equipaggiati sono coinvolti nel fallimento dell' “Operazione Barbarossa” e costretti ad una disastrosa ritirata.
Prezzo pagato: dei 220.000 italiani partiti per la Russia, circa 100.000 non tornarono.

Un'altra ottima occasione di mettersi in mostra è offerta a Mussolini dalla “Battaglia d'Inghilterra”.
Estate 1940: i bombardieri tedeschi si accaniscono su Londra e si pensa che gli inglesi, colpiti da quella valanga di fuoco, nonostante una stoica resistenza, debbano, alla fine, crollare.
E' allora che il duce, non richiesto, chiede ai tedeschi “l'onore” di partecipare alla mattanza. Viene così costituito il C.A.I. (Corpo aereo italiano) composto da 180 velivoli tra bombardieri, caccia e ricognitori, che, dopo un travagliato trasferimento, si installa in 5 areoporti in territorio belga occupato dai tedeschi e gli viene assegnata una zona d'operazione che non comprende però Londra. Per due mesi, dall'ottobre al dicembre 1940, gli uomini del C.A.I., con aerei tecnicamente superati che i colleghi tedeschi si prestano ad adattare per l'impiego in un ambiente difficile ben diverso da quello mediterraneo, e dotazioni inadeguate (combinazioni di volo leggere – in testa, per protezione, l'elmetto della fanteria...) partecipano ad azioni di bombardamento contro porti ed altri obbiettivi militari inglesi che mettono in luce l'abnegazione degli aviatori italiani ed il loro valore in qualche caso eroico.
Ma, ciononostante, Rosario Abate, nella sua “Storia dell'areonautica italiana” - Casa Editrice Bietti Milano 1974 – scrive di “inconsistenza dei risultati ottenuti” e definisce il C.A.I. una “operazione dimostrativa di nessuna utilità pratica” per cui i suoi 34 caduti non arrecarono all'interventismo del duce beneficio alcuno.

Ma l'esibizionismo di Mussolini si mette in mostra anche nella guerra sui mari.
Richiesto, questa volta dall'alleato tedesco, di partecipare alla lotta sottomarina contro i rifornimenti americani all'Inghilterra, si affretta ad inviare tra la fine del 1940 e gli inizi del 1941, 32 dei 113 sommergibili costituenti, all'inizio della guerra, una delle maggiori, se non la maggiore, flotta subacquea esistente.
Superato il doppio ostacolo delle terribili correnti dello stretto di Gibilterra e dell'occhiuta sorveglianza della marina inglese, essi riescono a raggiungere la base denominata “Betasom” sede del comando delle forze italiane subacquee in Atlantico sorta in Francia a Bordeaux.
Gli innegabii successi ottenuti dai nostri sommergibili in Atlantico (101 navi affondate per complessive 569.000 tonnellate) furono però considerati inadeguati in confronto a quelli tedeschi e per questo 10 di essi furono fatti rientrare in Mediterraneo per scortare i convogli di rifornimenti dall'Italia ai combattenti in Africa settentrionale. Dei 26 rimasti a “Betason” 16 affondati o dispersi, ed i residui 6 trasformati, verso la fine della guerra, per la loro maggiore capienza rispetto a quelli tedeschi, in inediti “sommergibili-cargo”.
Destinati, questi, data l'impossibilità di collegamenti aeri o con navi di superfice, a raggiungere, con viaggi rocamboleschi, l'Estremo Oriente per caricare, nei porti conquistati dall'alleato Giappone, quelle materie prime necessarie all'industria bellica tedesca (come gomma, rame, stagno, cobalto, mica, lacca, tungsteno, molibdeno, volframio e simili) sempre più difficili da reperire in Europa.
Essi furono coinvolti nell'armistizio fra Italia e alleati dell'8 settembre 1943: i tre arrivati a Singapore, (“Torelli”, “Giuliani” e “Cappellini”) sequestrati dai giapponesi; i due (“Finzi” e “Bagnolini”) rimasti a “Betasom” catturati alla banchina dai tedeschi; uno (il “Cagni”), in navigazione per raggiungere Singapore, riesce a consegnarsi agli inglesi nel porto di Durban in Sud-Africa.

Questi alcuni frutti del presenzialismo mussoliniano: e c'è, ancor'oggi, chi inneggia al duce e alla marcia su Roma del 28 ottobre 1922.

Padova 19.X.2017 Giovanni Zannini



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